La famiglia Regeni chiede stop alla morbosità, ma l’appello non ferma Al-Araby Tv

ROMA – “Esprimiamo amarezza per il giornalismo spregiudicato, morboso, irrispettoso e lesivo del lavoro fatto. Pubblicare atti d’indagine il cui contenuto è delicatissimo, rischia di mettere a repentaglio l’incolumità di testimoni, consulenti e avvocati oltre che intralciare il nostro percorso per arrivare alla verità”. Questa la denuncia, affidata a un video di tre minuti, di Claudio Regeni e Paola Deffendi, genitori di Giulio, il ricercatore scomparso al Cairo il 25 gennaio 2016 e ritrovato morto dieci giorni dopo.

L’appello è giunto ieri, a poche ore dalla messa in onda di un reportage trasmesso in prima serata dall’emittente Al-Araby Tv e nell’ambito del programma ‘Chifra’ (“codice”, in lingua araba) e a cui è intervenuta anche la legale della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini. Il reportage ricostruisce la vicenda giudiziaria e rivelerebbe i racconti di due nuovi testimoni (la cui identità è tenuta segreta per ragioni di sicurezza), a cui i cronisti “hanno ottenuto accesso esclusivo” e che “hanno affermato che Giulio Regeni era stato arrestato, interrogato e torturato da personale militare egiziano”.

“L’Italia non ti aiuterà. Se muori qui, nessuno lo saprà” avrebbe detto un ufficiale, citato dal primo, mentre il secondo testimone avrebbe dato dettagli precisi sulle modalità dell’interrogatorio, con torture e minacce psicologiche. I due, secondo l’emittente, che ha sede a Londra, avrebbero fornito gli stessi dettagli sulla data – tra il 28 e il 29 gennaio 2016 – e il luogo: avrebbero entrambi visto il ricercatore friulano in una stanza del quartier generale dei servizi di intelligence del Cairo, a Nasr City. Uno dei due testimoni avrebbe inoltre detto che quell’edificio “è una prigione di sicurezza, non governativa perché non è riconosciuta e nessuno la conosce. La maggior parte delle persone detenute in questa prigione sono state fatte sparire con la forza e nessuno sa nulla di loro”.All’emittente Ballerini ha definito “credibili” le testimonianze raccolte.

L’inchiesta avviata dalla Procura di Roma si è conclusa con quattro avvisi di garanzia nei confronti di altrettanti esponenti dell’intelligence egiziana. Nel corso dell’audizione del procuratore generale Michele Prestipino e del sostituto procuratore Sergio Colaiocco presso la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, a fine dicembre, è stato fatto cenno a due nuovi “testimoni”, uno dei quali aveva rivelato di aver visto il giovane ricercatore in una stanza per gli interrogatori del quartier generale della National security Agency, “con evidenti segni di tortura” e in stato confusionale” per le violenze subite. Il processo si aprirà in contumacia il prossimo 29 aprile.

Nel messaggio di ieri, la mamma di Giulio, Paola Deffendi, ha chiesto di “non banalizzare il male: nel momento in cui vi abbiamo confermato di aver visto sul viso di Giulio tutto il male del mondo e anche la Procura di Roma ha confermato che ha subito torture per 9-10 giorni, quali dettagli vi servono ancora? La scorta mediatica ci ha accompagnato fin qui con rispetto e discrezione ma tutto questo rischia di compromettere il nostro lavoro e fa il gioco della controparte”.

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