Ciclismo. Pioggia fredda e batteria giù, ma Giro-E svalica in Emilia-Romagna

Bagno di Romagna (Forlì-Cesena) – Da Pontassieve a Bagno di Romagna. Dalle porte di Firenze alla cittadina conosciuta per le acque termali, passando per il verdissimo Casentino. Toscana ed Emilia-Romagna, in mezzo tre passi: Consuma, Calla e Carnaio. Salite lunghe e regolari, nella tappa che il Giro d’Italia dedica a Gino Bartali. Salite e discese, non c’è un metro di pianura se non ai meno quattro dal traguardo in una prova tosta come ‘Ginetaccio’, e che il Giro-e ripercorre partendo alle porte della città di Dante. Pronti via e la vista è mozzafiato, con i vitigni di Diacceto che abbracciano la strada, per un panorama largo che, seguendo l’Arno, si spinge fino a Firenze.

E’ uno dei pochi scorci tranquilli, baciati dal sole. Poi la ‘competizione’ non agonistica entra nel vivo. C’è la prima prova di regolarità: da Borselli alla Consuma a quasi venti all’ora di media, con il passo dettato da Max Lelli, capitano del team Enit, l’Agenzia Nazionale del Turismo. Le bici da strada sono a pedalata assistita, ma lo sforzo pigia sulle gambe di chi non è un ex pro o fa migliaia di chilometri sulle due ruote ogni anno. Arriva la cima, via in discesa tra liberazione e testa alta verso il Casentino alto, come la ‘schiena’ del monte Verna all’orizzonte.

Arrivati a Stia, comincia il passo della Calla. Salita lunga, anche questa. E così ai sei chilometri dalla vetta la batteria e le gambe fanno i capricci. Un mix maledetto, che necessita dell’intervento del meccanico, Giacomo. Un ragazzo di Grosseto e una storia nella storia: meccanico di bici di lavoro, segue una squadra ciclistica femminile ed è un maniscalco, ufficiale. Sì perché ha frequentato la scuola militare che per decreto regio abilita a questa professione antica. Segni particolari: ha un maialino da compagnia, Mirtilla, e risolve con leggerezza ogni problema. Meccanico e psicologo. Il giro è anche questo.

Batteria sostituita si raggiunge il passo. E quel cielo che pian piano è diventato minaccioso non è clemente. Pioggia fredda, mista a qualche chicco di grandine. Impermeabile sulle spalle e giù in discesa, di nuovo, fino a Santa Sofia. Da lì inizia la salita più dura della giornata, un’arrampicata vera, con tratti anche al 14%. Batterie e gambe in confusione, Giacomo che tira dall’ammiraglia, e dagli ‘indiani’, come si dice in gergo di quelli che aspettano i professionisti sulla cima, è tutta una presa di giro. Mai offensiva, anzi, si sprigiona la classica simpatia di chi aspetta lungo strada. Cima di nuovo e discesa, una picchiata fino a Bagno di Romagna dove il team si raduna e taglia il traguardo in parata con il principe delle Ardenne, Moreno Argentin. Tutti a indicare un monumento sportivo mentre le ruote tagliano il traguardo.

“L’Appennino Tosco-Emiliano lo si conosce relativamente, ma è un paesaggio stupendo. Poi la tappa è stata dura, ma bellissima. Secondo me questa è la cartolina più bella che possiamo fare dell’Italia: ieri” in Val d’Orcia, “è stata una cosa che probabilmente nessun altro Paese può offrire” se l’idea è attraversare il territorio in maniera lenta, con qualunque mezzo. “Lo spettacolo è stato unico”, sottolinea all’agenzia ‘Dire’ il direttore dell’Enit, Giovanni Bastianelli.

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