II testo del decreto interministeriale, non ancora pubblicato in gazzetta ufficiale, che regolamenta l’esonero contributivo a favore delle persone fisiche titolari dipartita Iva varato con la legge di bilancio 2021 assegna un miliardo di euro a favore dei professionisti iscritti alle Casse di previdenza autonome. In via generale, va evidenziato che anche per i liberi professionisti vengono adottati i medesimi criteri stabiliti per gli altri destinatari della misura (iscritti alla gestione artigiani e commercianti e alla gestione separata dell’Inps), che potranno beneficiare dell’esonero soltanto a condizione di rispettare alcuni requisiti, ovvero: 1)aver conseguito nel 2019 un reddito professionale non superiore a 50mila euro; 2) aver registrato nel 2020 un calo di fatturato pari ad almeno il 33% rispetto al 2019; 3) non essere titolare, per il periodo oggetto di esonero, di pensione ne di contratto di lavoro subordinato; 4) essere in regola con il versamento dei contributi previdenziali obbligatori. In merito al requisito reddituale occorre sottolineare come l’articolo 3 del decreto faccia riferimento al reddito “professionale “conseguito nel 2019, mentre la norma primaria (articolo i, comma 20 della legge 178/2020) riporti al reddito “complessivo” del professionista: in merito, al fine di scongiurare risorgere di contenziosi, è auspicabile un chiarimento dell’amministrazione finanziaria. Molti enti di previdenza abbassano i minimi contributivi ai neoiscritti Va, infine, rimarcato come il decreto abbia il merito di avere salvaguardato le posizioni dei professionisti che hanno avviato l’attività nel 2020, consentendo loro – adottando la medesima logica dei ristori di godere dell’esonero contributivo; a tali soggetti, quindi, non vengono richiesti i requisiti afferenti il reddito e il calo di fatturato. Più di una criticità, invece, sorge in relazione alla ripartizione delle risorse stanziate a favore dei professionisti iscritti alle Casse e, quindi, alla effettiva determinazione dell’ammontare dell’esonero spettante. In merito, infatti, l’articolo 3 del decreto prevede testualmente che esso abbia per oggetto «i contributi previdenziali complessivi di competenza dell’anno 2021 e in scadenza entro il 31 dicembre 2021. con esclusione dei contributi integrativi» nel limite massimo di 3mila euro. Considerando che generalmente i professionisti iscritti alle Casse corrispondono i contributi previdenziali soggettivi versando i cosiddetti “minimi” nel corso dell’anno e l’eventuale differenza a saldo – sulla base del reddito prodotto – nell’anno successivo. è evidente come l’esonero si riferisca soltanto ai predetti “minimi”, che di fatto si configurano analogamente ad acconti. Il meccanismo pertanto è analogo a quello previsto per gli iscritti alla gestione artigiani e commercianti dell’Inps ma, a differenza di questo, scontale eterogenee regole di quantificazione dei minimi contemplate dalla pluralità di regolamenti adottati dalle Casse. Divari che si riscontrano non soltanto trai diversi en ti previdenziali, ma anche all’interno delle singole Casse, a causa dell’applicazione di criteri di quantificazione dei minimi costruiti sulla base dell’anzianità di iscrizione e/o dell’età anagrafica del professionista; generalmente, infatti, i regolamenti delle Casse prevedono specifiche agevolazioni a favore dei giovani e/o dei neoiscritti. Con il meccanismo delineato dal decreto tale beneficio rischia diabolicamente di tradursi in un aggravio che colpisce proprio coloro che, invece, dovrebbero essere più tutelati. Il rischio, infatti, è che a parità di condizioni reddituali non soltanto il taglio contributivo premi maggiormente i professionisti più anziani ma che, in caso di redditi eccedenti i minimali, i giovani si trovino a pagare contributi complessivamente più alti. Rischio che potrebbe assumere effetti ancora più paradossali nei casi di esoneri dal versamento dei minimi disposti a favore di soggetti che si trovano in particolari condizioni, quale, ad esempio, il periodo di maternità.
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