Venti anni fa moriva Indro Montanelli. Mattarella: “Personalità di rilievo nella cultura italiana”

ROMA – Il 22 luglio 2001 moriva a Milano Indro Montanelli. Il giorno dopo, il Corriere della Sera di cui era stato una delle firme principali per quaranta anni, titolò in prima pagina “Addio a un grande italiano” e pubblicò il necrologio scritto dallo stesso giornalista toscano: “Mercoledì 18 luglio 2001, ore 1:40 del mattino. Giunto al termine della sua lunga e tormentata esistenza – Indro Montanelli – giornalista – Fucecchio 1909, Milano 2001 – prende congedo dai suoi lettori ringraziandoli dell’affetto e della fedeltà con cui lo hanno seguito. Le sue cremate ceneri siano raccolte in un’urna fissata alla base, ma non murata, sopra il loculo di sua madre Maddalena nella modesta cappella di Fucecchio. Non sono gradite né cerimonie religiose, né commemorazioni civili”.

IL MESSAGGIO DI MATTARELLA

“Il ricordo di Indro Montanelli, a vent’anni dalla morte, suscita ancora intensa partecipazione, non soltanto in coloro che lo hanno conosciuto più da vicino, ma anche nei tanti che ne hanno apprezzato le qualità di cronista, di narratore, di divulgatore storico, di polemista che non rinunciava ai toni forti anche a rischio di disorientare i propri ammiratori”. Lo dice il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. “Il giornalismo di Indro Montanelli ha attraversato gran parte del Novecento – aggiunge il capo dello Stato-. Iniziata la sua attività durante il regime fascista, fu inviato di guerra, e si distinse in quegli anni per dare completezza al suo lavoro, sottraendosi per quanto possibile alle strette maglie della propaganda. Divenuto critico verso il fascismo, fu imprigionato a Milano nell’ultimo periodo della Seconda guerra mondiale. Evaso dal carcere raggiunse la Svizzera, dove attese la fine del conflitto. La Repubblica vide intensificarsi il suo impegno di giornalista e di scrittore”.

Il messaggio di Mattarella prosegue ricordando le tappe principali della carriera di Montanelli: “Fu una delle firme più prestigiose del Corriere della Sera. Fondò il Giornale e poi la Voce. Scelse strade nuove ogni qualvolta vide, o temette, invasioni di campo o limitazioni del proprio spazio di autonomia. Le Brigate rosse lo individuarono come obiettivo, e l’agguato che provocò il suo ferimento fu un crimine contro la libertà dell’informazione. Rifiutava con cocciutaggine qualsiasi omologazione, rivendicandolo al suo carattere di toscano. Intellettuale dalle inesauribili energie – conclude il presidente della Repubblica-, maestro di scrittura, giornalista intransigente nella difesa della autonomia professionale, è stato per decenni una personalità di rilievo nella cultura italiana e nel dibattito pubblico”.

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