Afghanistan, Penza (Sant’Egidio): “Avanti con i corridoi umanitari”

ROMA – Percorsi in sicurezza, a partire da Paesi terzi. Per persone a rischio, selezionate in modo rigoroso, che hanno diritto all’asilo politico al 100 per cento. Un’operazione differente dai trasferimenti di emergenza di agosto dall’aeroporto di Kabul. Anche perchĂ© i protagonisti veri dell’accoglienza sono attivisti, cooperanti e volontari della societĂ  civile, che si fanno carico interamente dei costi e anche dell’integrazione in Italia. Sono anzitutto questo i “corridoi umanitari”, ideati dalla ComunitĂ  di Sant’Egidio contro le “morti di speranza” dei tanti migranti inghiottiti dal Mediterraneo dopo le Primavere arabe.

“Questi percorsi oggi possono essere riproposti per l’Afghanistan, con selezioni, colloqui e verifiche di ciascuna situazione e storia personale, a partire da Paesi terzi, che siano il Pakistan, l’Iran, il Tagikistan o l’Uzbekistan” spiega al magazine Oltremare Giancarlo Penza, sin dall’inizio uno dei responsabili dei corridoi della ComunitĂ .

La premessa è che queste aree, come altre prossime al Medio Oriente o alcuni Paesi della regione africana del Sahel, sembrano sicure ma in realtĂ  non lo sono. E che la strategia dell’Ue di spingere piu’ in lĂ  le sue frontiere esterne, per allontanare milioni di profughi originari della Siria o di Stati subsahariani, abbia giĂ  mostrato limiti.

Tutt’altra è la storia dei corridoi umanitari, cominciata nel 2015 e dunque breve, ma di successo. “Di fronte a quelle morti intollerabili, in una fase terribile segnata da repressioni di regime, come in Egitto, o da esplosioni di conflitti armati, come in Siria, ci siamo messi a studiare le leggi e abbiamo trovato uno spiraglio nei codici dell’Ue” ricorda Penza: “Un articolo che consente a singoli Stati membri dell’area Schengen di chiedere ogni anno un certo numero di Visti territorialmente limitati, che non riguardano l’intera zona ma solo il Paese proponente, con la motivazione delle ragioni umanitarie o dell’interesse nazionale”.

Ci si muove allora con un accordo, con il governo italiano, nel 2015, nella forma di un primo protocollo. Nel testo, che riguarda rifugiati siriani giunti in Libano, sono fissati il numero di persone da accogliere, i tempi dell’operazione e i criteri sulla base dei quali scegliere chi trasferire.Dopo quell’intesa ne arriva un’altra, nel 2017, per profughi eritrei, sud-sudanesi o somali giunti in Etiopia. Ci sono differenze con il protocollo libanese ma la sostanza resta la stessa: centinaia di persone sono selezionate in loco dagli operatori della ComunitĂ , responsabili di colloqui e documentazioni da trasmettere all’ambasciata d’Italia e poi a Roma, perchĂ© siano effettuate verifiche ulteriori. Da un corridoio all’altro non mutano neanche gli aspetti finanziari: le operazioni restano completamente a carico dei proponenti, oltre a Sant’Egidio la Conferenza episcopale italiana con la Caritas, la Tavola valdese e la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei), realtĂ  che possono beneficiare dell’otto per mille.

“Questo è un punto chiave” sottolinea Penza: “Il governo non mette una lira, nĂ© per le operazioni di soccorso nĂ© per l’accoglienza nĂ© per l’integrazione sociale; tutto fa capo alle realtĂ  proponenti, responsabili anche della selezione in Italia delle associazioni, delle parrocchie o delle singole famiglie desiderose di mettere a disposizione la loro casa per un progetto di integrazione che dura all’incirca un anno”.

L’altro punto di forza dei corridoi umanitari è la sicurezza. Anzitutto del viaggio, su voli di linea, non su barconi o attraverso il deserto alla mercè di trafficanti e sfruttatori. E poi dell’arrivo, quando di fatto il 100 per cento dei migranti presenta domanda di diritto d’asilo e la ottiene sempre. “Una conferma della validitĂ  della selezione, visto che il tasso di risposta positiva alle richieste per chi arriva in Italia da altre vie non supera il 7 per cento” annota Penza.

Convinto che, allora, dopo oltre 3.700 persone giĂ  arrivate in sicurezza dal Libano e dall’Etiopia, si possa e anzi si debba ripartire: “Con il consenso dei governi, a livello italiano ed europeo, potremmo riproporre i percorsi virtuosi giĂ  sperimentati a beneficio degli afgani”.
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