Gesey (Radio Dalsan): “In Somalia la popolazione teme un nuovo conflitto”

ROMA – “In Somalia le notizie non sono buone. Le forze armate si sono schierate con il primo ministro Mohamed Hussein Roble, e a Mogadiscio sentiamo le camionette dei militari attraversare le strade dirette verso Siigale. Questo quartiere è prossimo al viale principale che conduce a Villa Somalia, il palazzo presidenziale. I militari hanno dichiarato che stanno dalla parte del premier e contro il presidente, e questo ovviamente aggrava la situazione”. A riferire all’agenzia Dire la situazione dalla capitale somala è Hassan Ali Gesey, direttore del Dalsan Media Group, la principale stazione radiofonica e televisiva indipendente del Paese.

Il Paese del Corno d’Africa, diviso in vari stati e segnato da spinte autonomiste e tensioni interetniche che lo rendono di fatto disunito e quindi debole politicamente, vede il cuore del potere federale scosso da una profonda crisi istituzionale: due settimane fa il primo ministro Mohamed Hussein Roble è rimasto coinvolto in uno scandalo per corruzione e questo ha innescato forti tensioni con il presidente Mohamed Abdullahi Mohamed ‘Farmajo’, che domenica scorsa ha deciso di licenziarlo. Il premier ha reagito accusando il capo di stato di voler “smantellare le istituzioni statali”, quindi è rimasto al suo posto assicurandosi il sostegno delle Forze armate.

La Somalia, impegnata in un faticoso processo di riconciliazione nazionale che risente ancora della guerra civile scoppiata a fine anni Ottanta, a novembre ha inoltre tenuto le elezioni legislative, ma il processo di voto è stato segnate da ritardi e inefficienze: secondo indiscrezioni raccolte dalla stampa internazionale, ad oggi sarebbe stato possibile assegnare poco più di una ventina di seggi su 275. Anche questo tema è diventato quindi motivo di tensioni tra i vertici del governo federale, anche perché la tenuta delle elezioni presidenziali è legata alla connclusione delle legislative.

D’altronde è dal 2020 che i leader di Mogadiscio non riescono a trovare un accordo con i vertici dei governi regionali sull’organizzazione delle elezioni generali, sostenute dalle Nazioni Unite come chiave per stabilizzare il Paese. Sia le divisioni interne sia la pandemia di Covid-19 hanno allontanato questo obiettivo e alla fine, lo scorso febbraio, il mandato di ‘Farmajo’ è scaduto. Il presidente da allora continua a rimanere in carica sostenendo che lascerĂ  non appena si terranno anche le presidenziali, ma l’accordo politico stretto con Roble e i ministri sembrerebbe venuto meno. Ora, proprio la sua posizione di irregolaritĂ  rende piĂą semplice ai suoi detrattori di accusarlo di abuso di potere e di ignorare le sue disposizioni.

La nuova crisi attuale pertanto “preoccupa la popolazione – continua Hassan Ali Gesey – che teme un ritorno alla guerra civile, perchĂ© per la prima volta, in uno scontro tra presidente e premier, prende posizione anche l’esercito”. Il direttore di Radio Dalsan tiene però a chiarire: “La situazione ora è sotto controllo, e noi giornalisti riusciamo a svoglere regolarmente il nostro lavoro”. Cosa che non può dirsi ad esempio nella vicina Etiopia, dove il conflitto tra governo federale e gruppi armati ha spinto l’esecutivo a imporre limitazioni al lavoro dei media, pena l’arresto e il carcere.

Ad allarmare i somali però, è anche la presenza di Al-Shebaab, milizia d’ispirazione jihadsita legata ad Al-Qaeda, che conduce regolari attacchi contro obiettivi sia istituzionali che civili per minare la stabilitĂ  delle istituzioni e che ora potrebbe trarre vantaggio dalla fragilitĂ  dell’apparato federale. “La comunitĂ  internazionale- conclude il giornalista- sta giocando un ruolo importante: Unione Africana, Nazioni Unite e Unione europea hanno dichairato di seguire da vicino la situazione e hanno fatto appello ai nostri leader affinchĂ© diano la prioritĂ  all’interesse nazionale, scongiurando l’uso della forza”. Oggi il segretario di stato americano Antony Blinken ha avuto un colloquio telefonico col presidente della Nigeria, Uhuru Kenyatta, durante il quale i due leader hanno invocato il ritorno al dialogo.
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