Burkina Faso, Sankara: “Compaorè onori la morte di mio fratello Thomas consegnandosi”

ROMA – “Non esiste nel mondo una riconciliazione nazionale che non passi dalla verità e dalla giustizia. Per Blaise Compaoré queste ultime si costruiscono accettando il verdetto dei giudici e ricostruendo i fatti che portarono al colpo di Stato e alla morte di mio fratello Thomas Sankara: dovrebbero essere queste le sue priorità”. A parlare è Paul Sankara, fratello minore dell’ex presidente Thomas, icona del panafricanismo e della decolonizzazione ucciso il 15 ottobre 1987 nell’ambito del golpe che portò al potere Campaorè, poi presidente del Paese africano fino al 2014.

Lo scorso aprile l’ex capo di Stato è stato condannato all’ergastolo in contumacia per il suo ruolo nell’omicidio di Sankara e di 12 suoi collaboratori. L’ex presidente, in esilio in Costa d’Avorio dal 2014, è stato ritenuto dai giudici colpevole di “minaccia alla sicurezza dello Stato” e “complicità in omicidio”. In settimana l’ex presidente ha fatto pervenire una lettera di scuse alla famiglia “del fratello e amico” Sankara, a tutte le altre persone uccise ormai 35 anni fa e a tutto “il popolo burkinabè”.

La missiva è stata consegnata di persona al colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba, presidente del Burkina Faso, pure salito al potere con un colpo di Stato lo scorso gennaio, da Aly Coulibaly, consigliere del presidente ivoriano Alassane Ouattara, e da Djamila Compaoré, figlia dell’ex presidente. È dalle parole di quest’ultimo che parte l’intervista con Paul Sankara, che risiede negli Stati Uniti e che è fondatore del Committee Against Impunity in Burkina Faso e del Committee Justice for Sankara.

“Ci sono soprattutto due cose da dire rispetto alle scuse di Compaoré: la prima è che l’ex presidente è stato condannato all’ergastolo, in un verdetto a cui lui non ha neanche assistito in video collegamento, oltre a essere in contumacia. Deve rispettare questa sentenza- scandisce l’attivista- nessuno è sopra la legge e questo vale anche per lui”. 

Il secondo aspetto che approfondisce il fratello di Sankara è più personale. “I nostri genitori hanno aperto il loro cuore e la loro porta di casa a Compaoré fino a che si è verificato il golpe, al punto che mio padre era solito trattare l’ex presidente come un altro figlio”, afferma il fondatore del Committee Against Impunity in Burkina Faso ricordando la relazione fra i due ex presidenti, un tempo alleati e ritenuti amici intimi.

“Dopo il colpo di Stato- ricorda Paul Sankara- Campaorè non ha avuto neanche il coraggio di andare a parlare con mio padre”. Questioni familiari che ci sono ma che non sottraggono universalità alla storia di Sankara, ribattezzato anche il Che Guevara africano per il suo impeto rivoluzionario, che riguarda tutto il Burkina Faso, l’Africa e il mondo. “Dopo il golpe, dopo la morte di mio fratello e dei suoi 12 collaboratori, tanti altri sono stati uccisi o sono scomparsi nelle settimane e nei mesi successivi”, afferma Sankara ricordando il turbolento periodo che ha seguito il colpo di Stato, per poi allargare lo sguardo alla portata complessiva dell’eredità del fratello maggiore: “Sankara diceva che lo potevano uccidere ma che come lui ne sarebbero nati a migliaia, aveva ragione. Esiste una sua famiglia biologica certo, siamo noi, ma poi ce n’è un’altra compsta da milioni di persone di tutto il mondo. Anche a questa moltitudine di gente, va chiesto scusa”, scandisce l’attivista in riferimento alla lettera di Compaoré. 

Da una memoria così fortemente condivisa, deriva l’obbligo “a cercare la riconciliazione nel modo giusto, ovvero attraverso la verità e la giustizia, rendendo noto cosa è successo durante il golpe del 1987, che non è stato mai chiarito fin do oggi”, afferma Sankara, che poi lancia un ulteriore appello a Compaorè. “Una delle prime cose che fece mio fratello fu combattere la corruzione e mettere in chiaro che avrebbe portato davanti alla giustizia qualsiasi membro della famiglia che se ne fosse macchiato, senza fare sconti di alcun tipo. L’ex presidente ha chiamato Sankara ‘fratello’ nella sua lettera: si comporti davvero come tale, e si presenti davanti ai giudici”. Una chiamata all’integrità che, conclude Sankara, “è uno degli aspetti che fa sì che a 35 anni dalla sua morte, mio fratello sia ancora un modello per tante persone nel mondo”.
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