I giovani commercialisti lanciano l’appello per le specializzazioni

Da oggi a Roma il convegno nazionale dell’Unione giovani dottori commercialisti sulla crisi d’impresa. Presidente MatteoDe Lise, state insistendo tanto su questa riforma. Perché la ritenete centrale?
La scommessa è se saranno di più i nostri seminari sull’argomento o i ripensamenti della riforma! Fuor di battuta, dal 2017 abbiamo assistito a una serie di decreti e modifiche e l’attuale riforma è arrivata ed è in vigore solo perché dovevamo recepire la direttiva Insolvency.

Il Codice della crisi è un corpus di regole molto complesso anche perla tecnica di scrittura, per interpolazione. Sul piano pratico l’istituto cui viene affidata l’allerta tempestiva sulla crisi, la composizione negoziata, sta dando pochi risultati. Perché?
Non si è lavorato a una svolta culturale per tentare di tenere la crisi e la sua soluzione fuori dal tribunale. Esperto e imprenditore, nella composizione negoziata, hanno un rapporto difficile, spesso l’istituto può essere inteso come un espediente dilatorio per fermare le procedure esecutive.

Gli esperti inseriti negli elenchi delle Camere di commercio sono in larga parte commercialisti. Chi meglio di voi è vicino all’impresa e può avere un ruolo per cercare di risolvere una crisi?
Purtroppo dobbiamo scontare una nostra debolezza rispetto alla consulenza d’impresa: ci siamo troppo appiattiti sugli adempimenti. Abbiamo formazione e competenze a largo spettro che spesso non riusciamo a valorizzare. Basti pensare al collegio sindacale: le imprese con tale organo di controllo hanno assetti organizzarvi più efficienti. Eppure il collegio è spesso percepito in prima battuta come un costo.

Come se ne esce?
Dobbiamo puntare sulle specializzazioni e in parallelo sulle aggregazioni tra professionisti, che vanno promosse con una politica fiscale premiante.

Il Consiglio nazionale che si è insediato da poco ha come obiettivo di arrivare alle specializzazioni, anche attraverso l’inserimento in master universitari e con un collegamento a competenze esclusive.
Credo sia centrale il binomio specializzazioni-aggregazioni, perché solo in questo modo si possono garantire agli studi i flussi di cassa che vengono dalle attività ordinarie, su “abbonamento” e dalla consulenza. Ritengo che non ci possa essere un proliferare di Albi ed elenchi di specialisti al di fuori dell’Ordine. Però credo anche che la formazione specialistica debba avere una valenza e un contenuto professionale. Sbaglieremmo se ci su un’impostazione accademica.

La riforma del processo tributario è un bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno?
Costituiscono un passo avanti l’onere della prova per l’amministrazione e la possibilità di testimonianza scritta. Anche il fatto che i laureati in Economia siano ammessi al concorso da magistrato è una conquista. Tuttavia, il problema è che troppe questioni arrivano davanti al giudice; l’autotutela verso il contribuente purtroppo è quasi sempre disattesa.

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