Sindaco societario, giro di vite sull`incompatibilità dei ruoli

E’ ineleggibile alla carica di sindaco e, conseguentemente, deve restituire quanto percepito per l’attività svolta il professionista che sia socio al 70% di una società semplice, costituita con altro professionista alla quale la società sottoposta al controllo del sindaco abbia affidato l’incarico di consulenza fiscale. È quanto ha affermato la Cassazione con la sentenza n. 29406 del 10 ottobre scorso, che torna sul tema delle incompatibilità dei sindaci legate ai loro rapporti patrimoniali con la società, ex art. 2399, ñ. 1 lett. ñ) del codice civile. Il caso.
Due professionisti (dottori commercialisti) avevano costituito uno studio associato nella forma di società semplice nella quale un professionista “A” deteneva la partecipazione del 70% e un secondo professionista “B” del 30%. Il professionista A era stato nominato sindaco di una società “Beta” alla quale lo studio attraverso il socio “B” forniva attività continuativa di consulenza fiscale. La società in questione non aveva provveduto al pagamento del socio “B” per l’espletamento dell’attività di consulenza, e il socio A, quale rappresentante legale dello studio, otteneva dal Tribunale di Alba un decreto ingiuntivo nei confronti della “Beta”. Quest’ultima si opponeva al decreto ingiuntivo e, in via riconvenzionale, chiedeva, da un lato, l’accertamento di una responsabilità professionale, con conseguente risarcimento dei danni, e, dall’altro, di accertare l’incompatibilità del socio A in merito allo svolgimento della carica di sindaco, con condanna alla restituzione di quanto indebitamente percepito per tale attività. Si costituivano con unico atto il convenuto A e la società semplice (studio professionale), precisando che il decreto opposto era stato richiesto da A nella sua qualità di socio della società semplice. Il rappresentante legale dello studio sosteneva che nessuna responsabilità era addebitabile allo studio in quanto non era stato posto in essere alcun comportamento illecito e l’attività era stata svolta da un socio dello studio, diverso dal sindaco. In merito alla ineleggibilità del professionista A alla carica di sindaco della società, si evidenziava, infatti, che l’attività di consulenza era stata svolta dall’altro socio dello studio. I giudici del Tribunale ritenevano esistente la responsabilità professionale dello studio e compensavano quanto dovuto alla srl a titolo di risarcimento danni con quanto dovuto dalla stessa a titolo di pagamento per le prestazioni di consulenza svolte. La decisione della Cassazione. Di estremo interesse appare la posizione della Suprema corte in merito alla incompatibilità del sindaco facente parte dello studio associato. In primo luogo è da evidenziare come, secondo la Cassazione: “…chi svolge in modo continuativo prestazioni di consulenza sull’oggetto che deve essere controllato da parte del collegio sindacale e sia comunque titolare di un rapporto di natura patrimoniale, si trova in una situazione che compromette in radice la sua imparzialità e indipendenza; la ratio sottesa alla causa di ineleggibilità risiede, infatti, nell’esigenza di garantire l’indipendenza di colui che è incaricato delle funzioni di controllo in presenza di situazioni idonee a compromettere tale indipendenza, così che la compromissione dell’indipendenza del sindaco sussiste non solo quando il controllore sia direttamente implicato nell’attività sulla quale dovrebbe esercitare il controllo, ma anche quando l’attività di consulenza sia prestata, come nel caso in esame, da un socio o collaboratore dello studio di cui faccia parte il sindaco”. Di rilievo, nella sentenza in commento, risulta peraltro l’esplicito richiamo alla pronuncia della stessa Cassazione dell’8/4/2015 n. 9392, secondo la quale è legittimo confrontare i ricavi derivanti al sindaco dal rapporto di collaborazione, in ragione della sua posizione nella compagine associativa, e il compenso conseguente alle sue funzioni di controllo, nella quale si evidenzia come l’indipendenza del controllore è messa in pericolo tutte le volte in cui egli si possa attendere dal rapporto di consulenza un ritorno economico personale superiore a quello che gli deriva dalla retribuzione sindacale. La sentenza del 2022 non fa riferimento, come invece la sentenza del 2015, al rapporto matematico fra il compenso del sindaco e la quota di compenso percepita da questi per la consulenza del socio di studio, ma dalla situazione attenzionata dalla Cassazione (il sindaco percepiva il 70% dei compensi fatturati dallo studio alla società controllata) è facilmente intuibile che il sindaco percepisse annualmente per la consulenza dello studio più di quanto gli sia riconosciuto per la funzione di controllo, ledendone concretamente l’indipendenza. In tal senso va un passaggio nella motivazione della sentenza in cui si legge che: “l’espressione ‘altri rapporti patrimoniali che ne compromettano l’indipendenza’, nella sua indeterminatezza, affida al prudente apprezzamento del giudice di merito l’individuazione del criterio da seguire nella concreta fattispecie sottoposta al suo esame, criterio che la Corte d’appello ha appunto individuato, con scelta condivisibile, nella percentuale spettante al sindaco F.C. (il 70%) dei crediti ricavabili dall’attività di consulenza svolta in favore della società”. Peraltro, dal tenore letterale della motivazione non si comprende se i sindaci nella fattispecie svolgessero o meno, nella società, anche “funzioni di revisione legale, nel qual caso, l’incompatibilità fra consulente e sindaco appartenenti alla stessa rete sarebbe “quasi” oggettiva (art. 10 dlgs 39/2010, commi 1,2 e 5, . ñ). Il rapporto con le nonne di comportamento. Il tema della indipendenza finanziaria negli studi associati e società fra professionisti è approfonditamente trattato nelle norme di comportamento del collegio sindacale, emanate dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti nel dicembre 2020. A riguardo, secondo la norma 1.4, in particolare: “II rischio di dipendenza finanziaria può sussistere concretamente quando i compensi percepiti dal professionista (o che egli prevede di percepire) da una società o da altre società del gruppo e comprendenti sia quelli individuali che quelli provenienti dalla partecipazione allo studio associato o alla società tra professionisti a cui il professionista appartiene sono superiori a un determinato livello rispetto al totale dei compensi da lui percepiti e, quando, allo stesso tempo, il compenso percepito (o che si prevede di percepire) per l’attività di sindaco da una società o da altre società del gruppo non è preponderante sul totale dei compensi perce piti dalla società medesima (o da altre società del gruppo). In tal caso, il sindaco potrebbe privilegiare il suo interesse per gli altri servizi compromettendo l’obiettività di giudizio”. La sentenza della Cassazione in commento non sembra distaccarsi, pur senza citare le norme, da quanto previsto dalla posizione dei professionisti.

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