I tre pilastri della previdenza

Gli approfondimenti sulla previdenza di PAOLO LONGONI.

Nel mondo della previdenza vengono definiti i tre pilastri fondamentali:

La previdenza di primo pilastro, che è costituita dalla previdenza pubblica obbligatoria, finanziata dai lavoratori e dai datori di lavoro durante il corso della vita lavorativa; questo primo pilastro, dopo il passaggio dal sistema di calcolo retributivo a quello contributivo si rivela spesso non sufficiente a garantire il mantenimento del tenore di vita; il tasso di sostituzione delle pensioni contributive oscilla dal 25 al 40% del reddito goduto durante la vita lavorativa.

La previdenza di secondo pilastro, che si realizza attraverso i fondi pensione di categoria, ai quali i lavoratori aderiscono in forma collettiva destinando quote della retribuzione ovvero il Trattamento di Fine Rapporto. I fondi pensione sono gestiti secondo il sistema della capitalizzazione: i contributi raccolti sono investiti al fine di generare un rendimento che ne incrementi il montante; il montante verrà convertito in rendita al momento del pensionamento secondo coefficienti di trasformazione predefiniti; la gestione del fondo avviene per il tramite di Società di Gestione del risparmio appositamente selezionate dai Fondi.

La previdenza di terzo pilastro è previdenza integrativa individuale che ciascuno può volontariamente realizzare, con assoluta discrezionalità mediante forme di risparmio individuali con la finalità di integrare la previdenza obbligatoria e la previdenza collettiva di secondo pilastro.

Le forme di previdenza integrativa individuale possono essere attuate mediante l’adesione a Fondi Aperti, a Piani di Previdenza Individuale (PIP) o mediante l’adesione a polizze e contratti di assicurazione sulla vita.

Chiunque può aderire ad una delle forme pensionistiche di terzo pilastro: lavoratori dipendenti privati e pubblici; lavoratori autonomi e liberi professionisti; lavoratori con contratti atipici (lavoratori a progetto od occasionali, soci lavoratori di cooperative); soggetti che sono fiscalmente a carico di lavoratori; anche chi non svolga alcuna attività lavorativa.

L’adesione a forme pensionistiche di secondo pilastro, invece, presuppone di solito che esista un fondo di riferimento per la Categoria di cui il lavoratore fa parte, al quale conferire contributi aderendovi; per i dipendenti del settore privato opera il meccanismo del conferimento tacito del Trattamento di Fine Rapporto che determina automaticamente il conferimento da parte del datore di lavoro al Fondo di riferimento delle quote che anno per anno maturano per TFR; il lavoratore deve manifestare l’opzione per una diversa destinazione entro sei mesi dall’assunzione.

In caso di adesione tacita il TFR viene versato al Fondo negoziale di riferimento o al fondo individuato dalla contrattazione collettiva; se manca il fondo di riferimento e la contrattazione collettiva non prevede nulla sulla destinazione del TFR, questo viene versato (per le sole imprese che hanno più di cinquanta dipendenti) alla particolare forma pensionistica complementare costituita presso l’INPS, denominata FONDINPS, che raccoglie i TFR dei lavoratori privi di fondo negoziale.

I sistemi di previdenza complementare di secondo e terzo pilastro sono destinati a mantenere da un lato la sostenibilità del sistema previdenziale obbligatorio, che ha ridotto le prestazioni per raggiungere l’equilibrio prospettico attuariale, e dall’altro a fornire alla popolazione anziana che continua a crescere in virtù dell’andamento della demografia un reddito sufficiente ed adeguato durante la quiescenza.

Le pensioni, ormai, rappresentano la fonte di reddito principale per quasi un quarto della popolazione europea; in tutta la Unione Europea i sistemi pensionistici si ispirano a tre concetti chiave:

l’adeguatezza, che rappresenta la capacità del sistema pensionistico di garantire al percettore del reddito di pensione uno standard di vita simile a quello goduto prima della pensione;

la sostenibilità, ovvero la capacità del sistema pensionistico di garantire l’adeguatezza senza incidere sul bilancio pubblico;

la sicurezza, l’indice che permette di valutare in che modo e fino a che punto nel tempo la pensione erogata mantiene il suo valore in relazione al costo della vita che muta.

La sostenibilità del sistema ha indotto gli Stati a modificare le condizioni di accesso alla pensione, allungando l’età e riducendo il valore della prestazione: ciò in considerazione del numero dei pensionati rispetto ai lavoratori attivi che aumenta, implacabilmente, in tutta Europa.

È per questo che assume sempre più rilevanza il risparmio previdenziale ai fini della salvaguardia del tenore di vita al termine dell’attività lavorativa: ma in Italia la previdenza integrativa si è sempre scontrata con diversi ostacoli e rimane tuttora molto meno rilevante rispetto alla media dei Paesi sviluppati; secondo le stime del Pension Market, pubblicato dall’OCSE nello scorso mese di giugno 2022, nel nostro Paese risultano gestiti in Fondi Pensione (secondo e terzo pilastro) circa 198 miliardi di dollari, che rappresentano il 9,8% del Prodotto Interno Lordo, mentre nella media OCSE i Fondi Pensione gestiscono somme lari al 63,5% del PIL.

Questo confronto talvolta viene interpretato come sintomo di una grande leggerezza da parte dei risparmiatori italiani, che si affidano ancora in massima parte alla previdenza obbligatoria pubblica; ma per comparare correttamente bisogna tenere conto che i sistemi previdenziali non sono confrontabili: in alcuni Paesi la previdenza complementare è obbligatoria, in altri la previdenza di primo pilastro offre tassi di sostituzione estremamente ridotti.

Sempre utilizzando gli studi del Pension Market, la percentuale dei contributi obbligatori per i lavoratori dipendenti in Italia è pari al 33%, contro una media del 18,4% negli altri Paesi OCSE; negli Stati Uniti la percentuale è del 12,4.

E dunque un sistema pensionistico che preleva obbligatoriamente una larga fetta del reddito riduce fisiologicamente la possibilità di destinare ulteriori fondi alle forme di pensione integrativa.

È però anche il caso di ricordare la propensione dei cittadini italiani a forme di risparmio tradizionalmente vicine alla mentalità delle famiglie (soprattutto in beni immobili) e la scarsa considerazione che esiste nel nostro Paese per gli investimenti “finanziari”.

Ma le prospettive della prestazione previdenziale pensionistica, influenzate dall’andamento demografico e dal veloce e feroce mutamento del mercato del lavoro devono necessariamente indurre ad un forte mutamento di mentalità ed al passaggio quanto più rapido è possibile verso forme di risparmio previdenziale volontario dirette a costruire pensioni future più adeguate.

L’Erario può contribuire ad incentivare queste forme con una politica fiscale che agevoli il regime di tassazione: i rendimenti dei Fondi sono tassati al 20% (con l’assurdo paradosso della tassazione al 26% dei rendimenti delle Casse previdenziali private obbligatorie), mentre la rendita futura viene tassata al 15% (ridotto al 9% se l’anzianità di contribuzione è superiore a quindici anni).

Intervenire sul regime di doppia tassazione che preleva dai rendimenti del capitale e poi anche dalle rendite che il capitale produce sarebbe un forte incentivo per lo sviluppo della previdenza integrativa.

Ma la raccomandazione a percepire con chiarezza la necessità di incrementare al massimo possibile il risparmio previdenziale deve comunque restare ben chiara per chi aspira a mantenere un decoroso tenore di vita in quiescenza.

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