I cento miliardi delle Casse

Con 103,7 miliardi di euro di totale attivo a fine 2022, valore quasi raddoppiato in dieci anni (erano 55,7 nel 2011) le Casse di previdenza sono considerate un esperimento di successo e, un po’ come la Cdp, sono tirate per la giacchetta da tutte le parti. Ovvero quando c’è da fare un grosso investimento che presenta anche finalità pubbliche, in settori dell’economia reale con ritorni nel medio lungo periodo, si pensa sempre alle Casse co me possibile contributore. Sta accadendo anche in questi giorni: se ne parla per la rete Tim, ma anche per il piano di privatizzazioni messo in cantiere dal governo con la legge di Bilancio che dovrebbe portare in tre anni 20 miliardi di incassi. Cifra difficile da raggiungere, considerati gli asset a disposizione dello Stato per eventuali cessioni o collocamenti, a meno che non ci sia una carta nascosta da giocare al momento giusto. Questo asso nella manica potrebbe essere una partecipazione delle Casse ai capitale della stessa Cdp, al fianco delle Fondazioni di origine bancaria, che attualmente detengono il 13%, e del Mef (ministero Economia e Finanze) che ha in portafoglio l’87% e potrebbe venderne una parte. Un’operazione di questo tipo, al momento, non è mai stata formulata alle Casse, ma non è escluso possa arrivare in futuro. Finora alcuni giornali hanno parlato di una proposta del nuovo direttore generale delle partecipazioni, Marcello Sala, per un ingresso delle Casse nel capitale di Cdp Equity, la controllata che ha al suo attivo le partecipazioni nella holding che controlla il 51% di Autostrade, il 71% di Fincantieri, il 60% di Open Fiber, il 16,7% di Webuild e il 7,3% di Euronext. Ma pare che l’idea sia stata rispedita al mittente da quasi tutti i principali enti. Il segnale che arriva è che di soldi facili non ce ne sono e che non è così semplice mobilitare queste risorse. Di quei 103 miliardi di totale attivo, innanzitutto, il 75% è controllato dalle prime cinque Casse, cioè Enpam (la cassa dei medici che è la più grande con 26,2 miliardi), Cassa Forense (la cassa degli avvocati con 17,85 miliardi), Inarcassa (architetti e ingegneri, 13,43 miliardi), Cnpadc (la cassa dei commercialisti con 11,89 miliardi) ed Enasarco (agenti di commercio, 8,71 miliardi). Le Casse di Previdenza sono nate intorno alla metà degli anni ’90 staccandosi dalla fiscalità generale (che invece continua a sostenere l’Inps), sono organizzate come Fondazioni senza scopo di lucro con finalità pubblica e sottoposte a Vigilanza pubblica. Raccolgono i contributi delle professioni liberali, 18 per la precisione, di cui le più importanti sono quelle di medici, avvocati, commercialisti, architetti, agenti di commercio, giornalisti, cioè quelle la cui attività è regolamentata da un Albo e che svolgono un lavoro autonomo, indipendente e responsabile a cui è attribuita una valenza pubblica. Le Casse hanno dunque come primario obiettivo quello di erogare le prestazioni previdenziali ai loro associati e una serie di servizi, poi se il saldo tra contributi incamerati e pensioni erogate è positivo, questo viene accantonato a riserva a tutela della sostenibilità del sistema. Le riserve in eccedenza vengono poi investite sui mercati finanziari alla ricerca dì un rendimento positivo che possibilmente ecceda il tasso di inflazione e faccia aumentare il patrimonio. È stato questo mix virtuoso, saldi e rendimenti positivi, che ha permesso di raddoppiare il patrimonio dal 2011. Pagando anche le tasse (750 milioni nel 2021). «Cerchiamo di tutelare gli associati non solo nella fase post lavorativa, con le pensioni, ma anche in quella lavorativa e pre lavorativa – spiega Alberto Oliveti, presidente dell’Enpam e dell’Adcpp, l’associazione di tutte le Casse – Una previdenza lungimirante e consapevole può innescare una circolari là che rende migliore il lavoro e fa lievitare la contribuzione». Il sistema delle Casse finora si è dimostrato virtuoso, come riconosciuto dalla Corte Costituzionale, ma dovendo sorreggersi solo sulle proprie gambe le cautele sono d’obbligo. I numeri macro non aiutano: in Italia lavorano soltanto 23 milioni di persone, solo l’1,5% ha un imponibile superiore a 100 mila euro e si deve far fronte a 400mila minori nascite all’anno. «Quando ci dicono che le Casse devono investire nell’economia reale del Paese bisogna tener conto che quel risparmio che noi gestiamo è vincolato innanzitutto al pagamento delle pensioni, dell’assistenza e a formare un cuscinetto a garanzia della tenuta del sistema – osserva Oliveti -. Dobbiamo stare molto attenti a non fare investimenti prospettici ma illiquidi, non abbiamo la fiscalità generale a sostenerci come succede per l’Inps».

Il patrimonio delle Casse, i famosi 103 miliardi, è investito sui mercati finanziari italiani e stranieri sia direttamente sia attraverso mandati a società finanziarie specializzate. Alla fine del 2022 ¡l sistema Casse aveva 18,5 miliardi impiegati in immobili (il 17,8% sul totale, in diminuzione dal 18,3% del 2021), 37,5 miliardi investiti in titoli di Stato e obbligazioni (36,1% dell’attivo in diminuzione dello 0,5%), 18,1 miliardi in titoli di capitale, cioè azioni di società quotate, fondi azionari e azioni non quotate (17,3% dell’attivo, in diminuzione). Il resto è liquidità o altre attività tra cui polizze assicurative e derivali. Di queste masse di denaro è anche possibile sapere, scorrendo il rapporto Covip sul 2022, quante risorse sono state riversate su attività italiane e quante hanno preso la via dell’estero. Togliendo ta liquidità e gli altri investimenti, gli investimenti domestici delle Casse sono ammontati a 36,9 miliardi 42,6% contro il 40,7% nel 2021) mentre 49,7 miliardi sono andati fuori confine (57,4% contro 59 , 3 % nel 2021). E scomponendo ancor più i dati, dagli investimenti immobiliari e in titoli di Stato, senza tener conto delle quote del capitale di Banca d’Italia, «le risorse finanziarie destinate dal le Casse alle imprese italiane possono essere calcolate in 7,9 miliardi». Insieme ai fondi pensione si arriva a 13 , 2 miliardi, una cura che, «se rapportata al totale delle passività finanziarie delle imprese”, fa concludere che «il contributo fornito dal risparmio previdenziale resta modesto, circa lo 0,4%». Dunque se da una parte è assodato che il risparmio delle Casse va più all’estero che in Itahae ben poco alle imprese , è anche vero che per ottenere buoni rendimenti bisogna rivolgerói fuori dall’Italia dove il merito di credito è più alto. Se poi si parla di infrasn’utture occorre considerare che è compito delle Casse fare gli interessi degli associati, dunque la costi-uzione di un ponte può interessare ad architetti e ingegneri, meno ai medici e ai commercialisti. «Nel fare investimenti per il Paese si può seguire il principio della “mission related” suddividendo l’investimento in un plateau condiviso tra diverse Casse, come è successo per l’investimento nel 25% di Bankitalia, al quale hanno partecipato 12 Casse», sostiene. Un investimento che rende il 4%. Per quanto riguarda la rete Tim le Casse già partecipano al fondo F2i che sta facendo una raccolta ad hoc proprio per la rete. Nel caso della Cdp, invece, che ha la funzione di enzima per stimolare gli investimenti, «un innesto delle Casse nella governance potrebbe avere un significato perché avrebbe una funzione per il Paese, ma nessuno ce l’ha mai chiesto», conclude Oliveti .

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