La giunta del Gabon contro “Maman Sylvia”, l’ex première dame parigina

(Foto credits Profilo X Sylvia Bongo Valentin)

ROMA – È l’ex “première dame” Sylvia Valentin sposata Bongo, il nemico pubblico numero uno dei militari che hanno preso il potere in Gabon. Se suo marito Ali è ormai un presidente “in pensione”, libero di muoversi e se volesse anche curarsi all’estero dopo l’ictus che l’ha colpito nel 2018, lei è stata prima confinata in una residenza per ospiti stranieri nel quartiere chic di La Sablière, poi trasferita nel carcere “Sans-Famille” della capitale Libreville. Dovrà rispondere di molteplici accuse, dal riciclaggio di denaro fino alla falsificazione della firma del presidente della Repubblica. La procura che l’ha incriminata ha riferito che durante la perquisizione di uno dei suoi uffici sono stati trovati mazzi di banconote. E che sarebbero appartenuti sempre a lei i contanti stipati in una borraccia sequestrata a un collaboratore, pure arrestato.

SISTEMA FRANCO-GABONESE

Sylvia Valentin è stata paragonata a una regina di cuori: potente manipolatrice di un marito con disabilità, al centro di un sistema di corruzione multimilionaria franco-gabonese. L’ex “première dame” è nata a Parigi 60 anni fa, figlia di un magnate delle assicurazioni in ottimi rapporti con Valéry Giscard d’Estaing e Francois Mitterrand che si era trasferito prima in Camerun e in Tunisia e poi in Gabon insieme con la famiglia.
Sylvia Valentin ha frequentato le scuole a Libreville e grazie ai contatti familiari ha conosciuto e poi sposato Bongo, figlio dell’allora presidente Omar, al potere dal 1967. Con il marito ha avuto tre figli: il primo, Nourreddin, è finito in carcere dopo il golpe di agosto con l’accusa di “corruzione” e “sottrazione di fondi pubblici”.
Negli anni Sylvia Valentin si è impegnata con una sua fondazione caritatevole, proprio come altre “première dame” africane (tra queste Hadja Hadiza Bazoum, pure agli arresti, moglie del presidente deposto a luglio in Niger). Ha anche ottenuto successi diplomatici: prima che alla Casa Bianca scattassero la foto che la ritrae accanto a Michelle e Barack Obama, era riuscita a ottenere che le Nazioni Unite istituissero una Giornata mondiale delle vedove.

CON IL GOLPE DI AGOSTO E’ CAMBIATO TUTTO

Ora è cambiato tutto. I suoi profili social sono fermi agli incontri di agosto, quando invitava i gabonesi a rieleggere Bongo, prima che i militari invalidassero i risultati del voto. È orfana anche la sua fondazione, che ha appena celebrato l’“Ottobre rosa” per la lotta contro il cancro al seno senza il sostegno di “maman Sylvia”. Le immagini del trasferimento in carcere dell’ex première dame sono state rilanciate dai media del Gabon insieme con le notizie sulla “transizione” avviata dal nuovo presidente ad interim, il colonnello Brice Oligui Nguema, cugino per parte di madre di Ali Bongo, già comandante della Guardia repubblicana e poi golpista. La sua giunta ha riferito che i cittadini potranno forse recarsi alle urne per scegliere i propri rappresentanti nell’agosto 2025. Il Paese, uno dei principali esportatori di petrolio dell’Africa, resta intanto tra i più disuguali al mondo, con circa un terzo dei suoi due milioni e 300mila abitanti in una condizione di povertà.

IL MONITO DEI VESCOVI AFRICANI

A denunciarlo sono stati anche i vescovi del Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar, riflettendo su “un punto in comune” tra i golpe che si sono verificati in Mali, Burkina Faso e più di recente in Niger e Gabon: “Si proponevano”, si legge in una dichiarazione, “di mettere fine a un sistema di predazione e corruzione generalizzata creato dai regimi deposti sotto la copertura di una democrazia che avrebbe dovuto portare prosperità”. Tra i nodi evidenziati dai vescovi c’è il “colonialismo economico”, che si concretizzerebbe negli accordi internazionali per lo sfruttamento di materie prime come l’uranio in Niger e il petrolio in Gabon. Entrambi i Paesi sono ora colpiti dalla revoca da parte degli Stati Uniti delle esenzioni doganali previste dalla legge Africa Growth and Opportunity Act (Agoa). Secondo Washington, non starebbero facendo “progressi costanti verso l’istituzione e la protezione del pluralismo politico e dello stato di diritto”.

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