La demografia: uno dei fattori critici per gli enti previdenziali

Gli approfondimenti sulla previdenza di PAOLO LONGONI.

Risulta del tutto ovvio che, nei sistemi previdenziali che sono gestiti secondo il sistema della ripartizione (con i contributi dei lavoratori attivi vengono pagate le prestazioni pensionistiche), una delle questioni più rilevanti sia costituita dall’andamento demografico generale.

Ebbene, al fine di non isolare il ragionamento e la visione ad un solo ente, pur riconoscendo le singole e specifiche tipicità, devono essere prese in esame le grandezze generali della demografia nel nostro Paese.

Con una popolazione stimata al 31 dicembre 2022 di 58.850.717 abitanti, l’Italia è il terzo Paese dell’Unione Europea, dopo la Germania e la Francia, e fino al 1950 era il decimo.

Negli ultimi otto anni, tuttavia, la popolazione residente, nonostante il fenomeno migratorio, è diminuita di quasi 2.000.000, passando al valore attuale dal valore del 2014 pari a 60.795.612.

Sotto l’aspetto demografico, l’Italia è uno dei Paesi a più bassa natalità del mondo intero: il numero medio di nascite per ogni persona di sesso femminile è stimato dall’ISTAT in 1,24; ed in cifra assoluta nel 2022 si sono registrate 392.598 nascite.

Per converso, le persone con oltre 65 anni di età rappresentano il 22,6% della popolazione.

Va qui ricordato che nel 1950 i residenti in Italia erano 46.914.000 ed il tasso di fecondità era pari a 2,50; fino al 1992 il saldo demografico (la differenza, cioè, fra nati e deceduti) è risultato positivo; dal 1993 in avanti il saldo è progressivamente andato a segno negativo, fino al valore del 2022 pari a – 320.901 unità.

E contemporaneamente la speranza di vita alla nascita in Italia è salita dal valore di 65,5 anni del 1950 a 81 anni per gli uomini e 85,4 anni per le donne.

Le statistiche sui lavoratori attivi evidenziano un numero, nel 2022, pari a 22,4 milioni; mentre i pensionati raggiungono il numero di 16,1 milioni; con un rapporto di 1,4 attivi per ogni pensionato.

Questi dati inducono ad alcune osservazioni, ben oltre il limite dell’ovvietà: la popolazione diminuisce ed invecchia; si incrementa il numero dei pensionati in rapporto agli attivi, e dunque il sistema della ripartizione evidenzia il proprio limite strutturale, che ha radici anche demografiche.

Isolando i dati alle singole gestioni, si rilevano scostamenti dai valori generali, ma tutti comunque orientati nello stesso trend di decrescita degli attivi rispetto ai pensionati e di invecchiamento della popolazione attiva.

I dati sono eloquenti, e determinanti ai fin delle decisioni strategiche e prospettiche da assumere per la tutela delle prestazioni previdenziali future: e ciò a maggior ragione per le Casse previdenziali private che non possono ricevere alcun tipo di sostegno da parte dello Stato; mentre la previdenza pubblica può reggersi (ma fino a quando?) anche con i trasferimenti derivanti dalla leva fiscale.

È nei fatti che il passaggio dai sistemi di calcolo retributivi a quelli a capitalizzazione dei contributi rende il raggiungimento degli equilibri di lungo periodo più agevole; ma gli iscritti alle gestioni previdenziali, ben lontani dalla maturazione dell’idea della pensione come risparmio differito, devono essere consapevoli che la prestazione pensionistica che percepiranno al momento della maturazione del diritto sarà ben lontana dalla sostituzione del reddito goduto; e devono necessariamente maturare l’idea di incrementare l’aliquota di versamento e di utilizzare ogni strumento perché il montante dei contributi raggiunga valori quanto più elevati possibile.

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