La sostenibilità della previdenza e l’età pensionabile

Gli approfondimenti sulla previdenza di PAOLO LONGONI.

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un vivace dibattito sulla riduzione dell’età pensionabile e sulle facoltà di uscita dal lavoro prima della soglia di età anagrafica prevista dall’ordinamento generale.

Il tema, che riguarda principalmente la previdenza pubblica, viene affrontato come un elemento di programma da parte delle forze politiche; e non vuole qui essere oggetto di critica: è comunque un dato di fatto che le continue (forse troppe) eccezioni alla Legge Fornero e la commistione che si perpetua fra attività di assistenza e previdenza rischiano di assumere le vesti della propaganda e della parola d’ordine, facendo suggestione ma non affrontando la globalità della questione.

Il mondo delle Casse professionali è interessato in misura minima dalle deroghe e dalle eccezioni che vengono dalle diverse Leggi di Bilancio: queste ultime riguardano la previdenza gestita dall’INPS, e non i singoli ordinamenti regolamentari di cui le Casse si sono dotate.

Ma la questione dell’età di pensionamento, intesa come tema generale, interessa comunque tutti gli attori del mondo della previdenza: perché deriva in gran parte, e comunque, in prospettiva, solamente dall’andamento della demografia. E la demografia è questione nazionale che involge la generalità della popolazione, non solo quella che è sotto l’ombrello della Previdenza di Stato.

Ebbene, i numeri rilevati a fine anno 2022 sono particolarmente eloquenti:

  • In Italia i pensionati sono incrementati alla ragguardevole cifra di 16.131.000;
  • Il rapporto fra lavoratori occupati e pensionati è pari a 1,44;
  • Su 3,65 italiani, almeno uno è pensionato, ma il picco dell’invecchiamento della nostra popolazione è individuato dall’Istituto Centrale di Statistica nell’anno 2045;
  • Risultano in pagamento oltre 22 milioni di pensioni (e dunque ben più di una per ciascun pensionato), cui devono aggiungersi altri 5 milioni fra indennità di invalidità e indennità corrisposte dall’INAIL per infortuni sul lavoro;
  • Poiché risultano 23 milioni di occupati, il rapporto sopra enunciato fra attivi e pensionati pari a 1,44, va completato con il rapporto fra attivi e pensioni liquidate, che è vicino a 1 pensione per ogni lavoratore attivo.

I dati sopra evidenziati meritano alcune considerazioni: il rapporto attivi pensionati indicato dagli studi in materia previdenziale come livello minimo di equilibrio è pari a 1,5: e dunque l’indicatore di 1,44 evidenzia uno squilibrio per la stabilità di medio e lungo termine; anche perché, come più volte abbiamo ribadito su queste pagine, il trend di invecchiamento della popolazione italiana è in deciso incremento, e lo sarà, secondo l’ISTAT, fino al 2045.

Quando nel 2035/2040 la maggior parte dei nati fra il 1945 ed il 1980 saranno in età pensionabile, gli equilibri (precari) oggi rilevati saranno messi certamente in serio imbarazzo.

È dunque il caso di affrontare la questione dell’età pensionabile non come un messaggio di propaganda inconsapevole, ma come una seria questione di programmazione per gestire la transizione demografica.

Anche perché, secondo l’autorevole Centro Studi Itinerari Previdenziali, l’età media di pensionamento nel nostro Paese è di circa 63 anni (nonostante i limiti generali imposti dalla Legge Fornero ed a causa della proliferazione di deroghe: quota 100, quota 102, quota 103, opzione donna, lavoratori precoci, lavori usuranti, ecc.), ma la aspettativa di vita è fra le più alte d’Europa.

Occorre quindi intervenire, in maniera lungimirante, stabile e duratura; almeno secondo quattro direttrici:

  1. Le età di pensionamento, che dovranno gradualmente essere adeguate alla aspettativa di vita evitando deroghe ed anticipazioni.
  2. L’invecchiamento attivo dei lavoratori, con misure dirette a favorire la permanenza sul posto di lavoro rispetto al desiderio di uscita.
  3. Le politiche del lavoro, per favorire l’incremento degli attivi anche attraverso politiche di formazione serie e concrete, che partano dal mondo della scuola.
  4. L’attività di prevenzione della salute, che consenta di migliorare la prospettiva di vecchiaia in buona salute degli anziani.

Il tema, che interessa soprattutto le generazioni future, che rischiano di trovare equilibri precari e una previdenza povera, è urgente e indifferibile; ci si attendono interventi di programmazione, e non più di demagogia.

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