Yemen, Alawad (Intersos): “La crisi nel Mar Rosso la pagano i civili”

ROMA – “La crisi nel mar Rosso sta avendo un enorme impatto sulla vita della popolazione dello Yemen, a partire dal ritardo nella consegne di farmaci e forniture medico-sanitarie per ospedali e centri sanitari. Siamo ancora in attesa di 15 tonnellate e non sappiamo quando arriveranno. Più in generale, il blocco del commercio navale ha fatto aumentare a dismisura il prezzo dei farmaci in un Paese dove le famiglie mediamente vivono con due dollari al giorno. Gli ospedali non hanno più medicinali da dare gratuitamente ai pazienti e le ambulanze – ammesso che riescano a raggiungere le zone più remote – non hanno poi modo di curare. E più il tempo passa, più le necessità aumenteranno”. Con l’agenzia Dire parla Aman Alawad, responsabile programmi in Yemen di Intersos, un’organizzazione che lavora dal 2008 nel Paese della penisola arabica e che ha intensificato le attività con l’aggravarsi del conflitto civile nel 2015.

Gli oltre 30 milioni di abitanti dello Yemen sopportano dal 2015 una guerra che vede contrapposto il gruppo armato degli houthi a una coalizione internazionale a guida saudita.

Agli effetti di questo conflitto, che negli anni secondo le Nazioni Unite ha fatto registrare una delle carestie più gravi con oltre i tre quarti della popolazione colpita, ora si aggiungono quelli della guerra che Israele sta conducendo nella Striscia di Gaza in risposta agli assalti dei commando di Hamas del 7 ottobre.

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Gli houthi, comunità arabo-musulmana vicina all’Iran, hanno trovato nel mar Rosso il punto debole di Israele: da fine novembre attaccano con droni armati le navi commerciali, colpendo un comparto che per Tel Aviv vale l’80% dei commerci ma determinando anche conseguenze a cascata sull’economia globale, che qui conta il 12% dei propri interscambi via mare.

A fine 2023 gli Stati Uniti hanno lanciato una missione militare internazionale e insieme al Regno Unito hanno già bombardato basi houthi nello Yemen. Incidenti si sono verificati anche in Libano, Pakistan, Giordania e Iraq, facendo temere un’escalation regionale del conflitto.

La popolazione dello Yemen si trovava però già costretta a fare i conti con gli effetti di dieci anni di guerra che hanno creato povertà e distrutto gran parte dei servizi. “Molte famiglie sono sfollate e questo significa che hanno perso tutto” dice Alawad. “Alcune sono state costrette a lasciare le case o le tende nei campi anche tre o quattro volte”.

Il responsabile spiega che gli sfollati interni sono, con donne, malati e minori, tra i gruppi vulnerabili prioritari dell’azione di Intersos.

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A questo si aggiunge che “già da un paio d’anni i donatori internazionali hanno tagliato i fondi per il profilarsi di nuovi conflitti”, come quello in Ucraina: “Le agenzie, anche quelle dell’Onu, faticano a rispondere ai bisogni reali”. Inoltre, sottolinea Alawad, “il World Food Programme da dicembre ha interrotto le forniture alimentari”, a causa del mancato accordo con le autorità houthi, una decisione che avrà conseguenze per quasi 10 milioni di persone.

La maggior parte degli ospedali e delle scuole riceve poi più richieste rispetto alle reali capacità delle strutture. “Tanti bambini non vanno a scuola” dice il responsabile.

“Alcuni non sono mai entrati in classe perché è più urgente procurare il cibo per la famiglia”. Secondo Alawad, i minori di cinque anni “si ammalano per le scarse condizioni igieniche o per la malnutrizione acuta”.

Ora l’attuale crisi nelle forniture “spinge le famiglie a non curarsi perché costa troppo” continua il responsabile. “Stanno finendo i farmaci per patologie tipiche come diarrea infantile, malaria, dengue, quelli per le anestesie e le sedazioni in sala operatoria, o i più costosi, come le chemioterapie, o i medicinali contro l’ipertensione”. “Chiediamo una de-escalation” l’appello di Alawad, che conclude: “E’ fuori discussione cominciare un’altra guerra”.

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