Eterologa a 46 anni, il caso dell’Asl Roma 1 (in attesa della Pma nei Lea)

ROMA – La Procreazione Medicalmente Assistita (Pma), sarebbe dovuta entrare già a far parte dei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea). Ma una proroga ministeriale ha rimandato il suo ingresso al 1 gennaio 2025.
Tra i requisiti di accesso che per la Pma cambiano nelle strutture pubbliche c’è il fattore dell’età della donna che sale a 46 anni e che con i nuovi Lea diventerà omogeneo in tutte le regioni evitando i cosiddetti viaggi della salute tra un’area e l’altra del Paese. Cosa è previsto e cosa cambierà? Le coppie sono informate o molte approdano in ospedale prive di riferimenti certi?

CON LA PMA NEI LEA LIMITE DIVENTANO 46 ANNI E I TENTATIVI SONO 6

Giuseppe Quintavalle, Commissario Straordinario della Asl Roma 1, in una regione Lazio in cui la PMA appannaggio del servizo pubblico è quasi inesistente, ha parlato dell’emigrazione sanitaria a cui sono costrette le coppie: “Con l’approvazione dei Lea il fenomeno della macchia di leopardo è destinato a scomparire così come la tendenza delle coppie ad andare fuori Regione (in particolare Lombardia e Toscana) per cercare percorsi più rapidi e talvolta economicamente più convenienti. Per cui ci sarà un doppio beneficio, da un lato di poter accedere fino a 46 anni e dall’altro di usufruire di 6 tentativi anziché 3 allo stesso costo in tutta Italia”.

“Nella Regione Lazio solo nella Asl Roma 1- perché è l’unica Asl ad offrire questo servizio– ha spiegato- questi limiti sono stati spostati a 46 anni per le donne che devono accedere alla procreazione medicalmente assistita con gameti donati (definita eterologa ndr.) grazie ad una proposta di legge regionale, approvata a novembre 2022 (L.R. n. 19), e applicata con Decreto attuativo 398 del 27 luglio 2023 dalla Giunta Rocca. In particolare il Centro del San Filippo Neri è il punto di riferimento per il centro e sud Italia avendo accolto ormai quasi 180 coppie che necessitano di tale tecnica. Ma il limite del numero dei cicli di cui può usufruire una donna del sistema sanitario nazionale è ancora fissato a 3, per cui al momento rimangono fuori quelle donne, anche se sono in numero limitato, che potrebbero utilizzare ancora i propri gameti, ma non possono farlo per limite di età”.
“La mancata informazione– ha concluso- è uno dei principali problemi della sanità italiana, nonostante gli sforzi fatti dalla Regione per diffondere informazioni di accesso ai servizi e iniziative. Si figuri che il 30% degli Italiani (da un sondaggio fatto sui nostri social) ancora pensa che la fecondazione con donazione di gameti (eterologa) sia vietata in Italia mentre il divieto è stato abrogato dieci anni fa, il 9 aprile 2014 per l’esattezza”.

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