(Adnkronos) – “La sindrome ipereosinofila è una malattia caratterizzata dalla presenza di ipereosinofilia, ossia di un valore di eosinofili”, un tipo di globuli bianchi del sistema immunitario, “a livello ematico superiore a 1.500, e da un danno d’organo mediato da questi granulociti eosinofili. La diagnosi è complessa in quanto” la malattia “ha un interessamento multiorgano che può manifestarsi attraverso una sintomatologia caratteristica data dall’infiammazione a carico di quell’organo, ma può decorrere anche in modo asintomatico. La diagnosi è altresì difficile in quanto sono molte le patologie associate a un aumento della conta degli eosinofili senza che per questo possano essere definite all’interno della sindrome ipereosinofila”. Così Luisa Brussino, direttore Scdu Immunologia e Allergologia dell’Ao Mauriziano di Torino, a margine dell’evento ‘Ready to Hes’ che si è tenuto nel capoluogo piemontese con l’obiettivo di differenziare e inquadrare correttamente la patologia, proponendo un primo documento orientativo e offrendo un modello di approccio metodologico multidisciplinare per la raccolta di esperienze cliniche a livello nazionale, data anche al disponibilitĂ di un nuovo farmaco, un anticorpo monoclonale.Â
“La diagnosi prevede la disamina dell’interessamento d’organo anche in assenza di una sintomatologia caratteristica a carico di quell’organo”, ha proseguito l’esperta. “Ad esempio – ha spiegato – l’interessamento cardiaco può decorrere in modo asintomatico per alcune settimane, pertanto va ricercato in tutti i pazienti con ipereosinofilia anche in assenza di sintomi. Si tratta quindi di una diagnosi di esclusione che richiede tempo e attenzione, da un lato per definire la causa dell’ipereosinofilia e dall’altro per definire l’estensione dell’interessamento d’organo. Per questo motivo è fondamentale creare dei team multidisciplinari che collaborino al fine di un corretto approccio diagnostico e gestionale a questa malattia. Al momento non vi sono dei Pdta”, piani diagnostico terapeutico assistenziali, “validati per la gestione della sindrome ipereosinofila, ma è auspicabile che vi si possa arrivare in tempi brevi”. Â
Quando si parla di sindrome ipereosinofila, “anche l’ematologo gioca un ruolo chiave – ha osservato Cristina Papayannidis, dirigente medico dell’Irccs Aou Istituto di Ematologia SerĂ gnoli di Bologna – Innanzitutto, da un punto di vista diagnostico, l’ematologo deve andare a escludere, in primis, patologie clonali midollari causate dalla presenza di riarrangiamenti o alterazioni genomiche che determinano una proliferazione abnorme degli eosinofili”, utilizzando “esami diagnostici con tecnologie avanzate di biologia molecolare”. Â
Nel momento in cui viene esclusa questa patologia, ha aggiunto Papayannidis, “tutti gli altri specialisti, prima o dopo, hanno giĂ , oppure stanno giĂ portando avanti il loro iter terapeutico, per cercare di capire la causa legata all’eosinofilia. Laddove non vi sia nessuna causa riscontrata e siano esclusi tutti i fattori secondari che possono indurre questo tipo di alterazione, andremo a parlare di forme idiopatiche, davanti alle quali oggi abbiamo a disposizione – ed è un grande passo avanti per la nostra comunitĂ scientifica – un nuovo farmaco, un anticorpo monoclonale che agisce nei confronti dell’interleuchina 5 che è un po’ il fattore che determina la crescita degli eosinofili”.Â
Questo farmaco, mepolizumab, “ha la capacitĂ di modificare e migliorare i sintomi che questi pazienti possono presentare, migliorandone di conseguenza la qualitĂ di vita – ha evidenziato l’ematologa – Spesso sono pazienti anziani, ma anche giovani, la cui qualitĂ di vita può essere compromessa da una sintomatologia d’organo consistente. Grazie a questo approccio terapeutico, grandi passi avanti sono stati fatti anche sotto questo punto di vista”. Â
“Mepolizumab – ha concluso Brussino – è sicuramente un farmaco di grande utilitĂ , soprattutto al fine di ridurre la terapia con steroidi e di evitare la cronicitĂ della terapia steroidea stessa”.Â