Negli Stati Uniti universitari in rivolta per Gaza, circa 130 arrestati: la Columbia proroga le lezioni online

ROMA – La Columbia University di New York ha deciso di prorogare le lezioni da remoto per i propri iscritti, dopo giorni segnati da proteste dei movimenti studenteschi contro il sostegno militare che gli Stati Uniti stanno fornendo a Israele nel conflitto armato in corso nella Striscia di Gaza. La scorsa settimana, l’ateneo aveva già deciso di cancellare le lezioni in presenza per allentare le tensioni, un annuncio che aveva scatenato le prime proteste che si sono poi estese ad altre università del Paese. Sit-in con arresti si sono registrati ad esempio all’Università di Yale. Ad Harvard sono scattate limitazioni all’accesso al campus, mentre nove studenti sono stati arrestati all’Università del Minnesota dopo aver cercato di accamparsi davanti alla biblioteca.

Lunedì, gli studenti della Columbia si sono accampati con tende e striscioni di protesta, e circa 130 sono stati arrestati. Ieri, centinaia di universitari si sono dati appuntamento invece nei pressi del campus, a Washington Square Park, dove secondo la stampa locale sono stati intonati cori anche contro la polizia, accusata di aver sgomberato i dimostranti del giorno prima con la forza. La polizia di New York ha replicato sostenendo di essere stata chiamata dall’ateneo e che gli agenti al loro arrivo hanno subito il lancio di bottigliette da parte degli studenti. Tuttavia, secondo alcuni manifestanti ascoltati dai media locali, le proteste si sarebbero svolte sempre “in modo pacifico”.

PER JOE BIDEN SI TRATTA DI PROTESTE ANTISEMITE

Dall’ateneo newyorkese hanno spiegato che accamparsi viola il regolamento interno. “Gli studenti hanno il diritto di protestare ma non quello di disturbare le attività del campus o intimidire gli altri studenti” ha detto il portavoce Ben Chang, anche in riferimento a timori espressi da studenti di religione ebraica di episodi di antisemitismo all’interno del campus. Uno studente ha infatti sporto denuncia a inizio settimana dopo essere stato colpito alla testa con un sasso mentre sventolava una bandiera di Israele.
Lunedì, il presidente Joe Biden è intervenuto etichettando le proteste come “antisemite” e condannando coloro che “non si rendono conto di quello che sta accadendo con i palestinesi”.

I rappresentanti della Columbia Students for Justice in Palestine in una nota hanno espresso “netto rifiuto per ogni forma di odio e fanatismo” e avvertito della presenza di “individui violenti che non ci rappresentano”. A confermare la presenza durante le proteste di persone “esterne” al movimento filo-palestinese è stato anche il presidente della Columbia, Nemat Shafik: “Le tensioni al campus sono state sfruttate e amplificate da individui esterni alla Columbia, arrivati per seguire una propria agenda”.
Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, che ha causato in Israele 1200 morti, il governo di Tel Aviv ha lanciato un’operazione militare nella Striscia che ha ricevuto l’immediato appoggio di Washington. A oggi, le vittime tra i palestinesi hanno superato quota 34mila. Secondo l’Istituto di ricerca per la pace di Stoccolma (Sipri), gli Stati Uniti sono il principale fornitore di armi a Israele – pari al 69% – subito seguiti da Germania (30%), Italia (0,9%) e Regno Unito (0,02%).

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