Sudan senza tregua anche sui Monti Nuba, prima delle piogge

ROMA – “Le piogge dovrebbero cominciare a fine maggio ma il timore è che a novembre indipendentemente dall’abbondanza d’acqua ci sia comunque molto poco da raccogliere” sottolinea Entisar Abdelsadig, originaria del Sud Korfodan, la regione del Sudan dove si trovano i Monti Nuba, terra di missione di San Daniele Comboni.

CON L’ORGANIZZAZIONE SEARCH FOR COMMON GROUND

Una testimonianza, questa raccolta dall’agenzia Dire, che si sviluppa a partire da due prospettive differenti e in certo modo complementari. Da una parte, Abdelsadig ha la conoscenza dei luoghi e dei fatti, prima e dopo l’inizio del conflitto civile che dall’aprile 2023 contrappone l’esercito del generale Abdelfattah Al-Burhan e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) del suo rivale, Mohamed Hamdan Dagalo detto Hemeti. Dall’altra, c’è l’esperienza nel lavoro di assistenza umanitaria, maturata come consulente di Search for Common Ground, un’organizzazione americana che ha un ufficio anche a Kadugli, il capoluogo del Sud Kordofan.

IN FUGA ANCHE IN CIAD, SUD SUDAN, ETIOPIA ED EGITTO

In Sudan il conflitto ha già costretto oltre otto milioni di persone a lasciare le proprie case. Tante, più di un milione, anche coloro che hanno cercato riparo all’estero, oltre i confini di Ciad, Egitto, Etiopia o Sud Sudan. Abdelsadig si sofferma sulle caratteristiche e l’impatto che il conflitto ha avuto nel Sud Kordofan. “Qui le fazioni in lotta non sono due ma tre” sottolinea la consulente: “All’esercito e alle Rsf vanno aggiunti i combattenti del Movimento di liberazione popolare del Sudan-Nord, che in un primo momento si sono alleati con le comunità dei Monti Nuba e con l’esercito contro i paramilitari”.

CONFLITTO E ALLEANZE IN SUD KORDOFAN

In Sud Kordofan il conflitto si è saldato a una lotta tradizionale per le risorse, anzitutto acqua e pascoli. Da una parte la comunità hawazma, costituita da allevatori semi-nomadi arabi; da un’altra i nuba, neri africani, perlopiù contadini. “Nella mia città, che si chiama Dilling, i secondi hanno chiesto il supporto dell’esercito contro i primi: subito ci sono stati bombardamenti e 25 case sono state date alle fiamme”. Dopo c’è stato l’intervento delle Rsf, a supporto degli hawazma, con una dinamica simile a quella che si vede più a ovest, nella regione del Darfur. “Il primo nodo da sciogliere è l’apertura di corridoi umanitari sicuri per il trasporto degli aiuti” dice Abdelsadig. “Anche in Sud Kordofan la stagione agricola è legata alle piogge perché non ci sono sistemi di irrigazione; inoltre, se non arrivano i semi e se si continuerà a combattere la carestia sarà inevitabile”. Nell’intervista si parla anche della conferenza internazionale sul Sudan ospitata questo mese dalla Francia. Secondo Abdelsadig, l’impegno a stanziare due miliardi di dollari in supporto delle vittime del conflitto è un segnale importante. Bisogna però monitorare il rispetto degli impegni assunti. “I combattimenti in corso impediscono di lavorare nei campi e minacciano la consegna degli aiuti” ribadisce la consulente di Search for Common Ground. “La mia città è ora sotto il pieno controllo dell’esercito ma le cose potrebbero cambiare, anche per via di una rottura tra i militari e i combattenti dell’Splm-N”. Secondo stime delle Nazioni Unite, i sudanesi che vivono una situazione di insicurezza alimentare sono più di 20 milioni, il 42 per cento della popolazione. Secondo l’indice Onu denominato Integrated Food Security Phase Classification, il livello di rischio fame è di quattro su una scala da uno a cinque.

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