Il primo a segnalare che l’uscita dalla sperimentazione di “Quota 100” non sarebbe stata indolore è stato il senatore del Pd Tommaso Nannicini, allora ai banchi dell’opposizione. Alla fine del 2021, senza un’armonizzazione, per gli esclusi ci sarà un aumento secco di cinque o sei anni dei requisiti di pensionamento. Ecco il caso limite: Giovanni e Luca hanno lavorato 38 anni nella stessa azienda solo che il primo è nato nel dicembre del 1959 e il secondo nel gennaio del 1960. Giovanni andrà in pensione (se lo vorrà ) a 62 anni, mentre Luca dovrà optare tra un pensionamento anticipato con 42 anni e io mesi nel 2026 o il pensionamento di vecchiaia con 67 anni e nove mesi, ad dirittura nel 2029. Un “super scalone” che supera quello della vecchia riforma Maroni (legge 243/2004), quando venne introdotta una differenza di tre anni lavorativi tra chi avrebbe maturato il diritto alla pensione il 31 dicembre del 2007 e chi lo avrebbe fatto il primo gennaio del 2008. Dodici anni fa per evitare che a circa 130mila lavoratori venisse impedito di andare in pensione subito si fece la riforma Damiano, con un aumento della spesa pensionistica di 63 miliardi nel decennio successivo. Nel 2022, in assenza di nuove regole di flessibilità generalizzate, quanti saranno gli “esodati di Quota 100”? E quanto costerà la loro salvaguardia? E le clausole Iva da disinnescare, nel frattempo, a quanto ammonteranno? Le domande si affollano visto che, tra i 22 Ddl collegati alla prossima legge di Bilancio, non se ne trova uno sulle pensioni. La Nadef promette solo quello che è stato scritto nell’accordo della maggioranza giallorossa che ha dato vita al Conte-2: una proroga di “Opzione donna” e dell’Ape sociale e l’avvio di un fondo pubblico per la pensione complementare dei giovani. Forse il governo ci penserà più avanti, scommettendo su costi minori del previsto per i pensionamenti a 62 anni e 38 di contributi. Al momento, vale ricordalo, l’insieme delle agevolazioni pensionistiche varate a gennaio dovrebbe valere 48 miliardi di maggiore spesa nel periodo 2019-2028. Mentre tra il 2021 e il 2022 la spesa pensionistica, anche per effetto di “Quota 100”, sfonderà la soglia psicologica dei 300 miliardi (si veda IlSole240re del 1° ottobre). Una buona programmazione avrebbe consigliato di aprire il cantiere subito. Anche perché alla fine del 2021 scade pure l’attuale schema di indicizzazione delle pensioni all’inflazione, che prevede 7 fasce anziché 5 e cambia marginalmente le percentuali di adeguamento ai prezzi (nel triennio questa misura, che tocca 5 milioni di pensionati, ha garantito risparmi per 3,6 miliardi). Anche in questo caso tornare al vecchio regime farà risalire la spesa. Per tornare al lavoratore Luca, vale la pena di segnalare che una consolazione c’è. Come spiega Antonietta Mundo, ex coordinatrice generale statistico-attuariale dell’Inps: «Con cinque anni di maggiori contributi e di età , e un coefficiente di trasformazione che stimiamo venga aggiornato ogni 24 mesi dopo il 2021, la sua pensione sarà più ricca di circa il 22%. E inoltre prenderà nei cinque anni di lavoro in più uno stipendio più alto della pensione del suo collega quotista, il quale negli stessi cinque anni non potrà cumulare reddito da lavoro con la suo assegno Inps».