Letta e i dirigenti del Pd fanno melina, Calenda e Conte brindano ai voti che arriveranno

ROMA – Dov’è l’urgenza? Dov’è la drammaticità del momento, almeno nei toni e nelle parole? Dopo 15 anni dalla nascita del Pd come nuova forza politica, dopo aver perso per strada 7 milioni di elettori e tantissimi militanti, qual è la proposta nuova, rivoluzionaria, per rilanciare la scommessa di un tempo? Di dar vita ad un grande partito riformista che dietro le riforme necessarie non si dimentica però dei bisogni del popolo? Niente, oggi la direzione del Pd riunita per discutere di cosa fare, di come arrivare al congresso e al cambio del segretario, ha riproposto un dibattito che è sembrato vecchio, ancora stretto nelle logiche e dalle convenienze dei capi e capetti delle varie correnti. Letta, segretario uscente e forse rientrante, ha promesso di arrivare al congresso entro marzo e di non modificare le regole congressuali per non farsi magari accusare dal nuovo e forte competitor, Stefano Bonaccini, di volerlo fregare in partenza. Come se bastasse, con un quadro di crisi economica e finanziaria alle porte, con una guerra in corso, con l’Unione europea che torna a dividersi tra i ricchi tedeschi e olandesi e i poveri italiani, c’è davvero qualcuno che pensa che a quel punto si possa tenere il congresso del Pd? Il solito espediente, che fa parte di certa tradizione politica italiana, di stemperare, allungare, portare la palla avanti e… poi si vedrà. A questo punto, quindi, non si può nemmeno escludere che di fronte alla situazione che ci troveremo alla fine non si decida di proseguire con Letta segretario. Alla faccia del cambiamento reclamato oggi a gran voce da tutti i dirigenti in carica.

Già vedo il sorriso e l’allegra euforia che proveranno Calenda, a destra, e Conte, a sinistra. Che non faranno altro che salutare i nuovi elettori in arrivo. Nelle parole del sindaco di Bologna, Matteo Lepore, una banale constatazione: guardate che non basta dire no, non ci scioglieremo… ci possono sciogliere altri. Per quanto riguarda poi la sottolineatura di Letta riguardo al simbolo e al nome, “amo questo simbolo, racconta un servizio al Paese”, ecco, è la prova provata che alla fine non si cambierà la sostanza. Perché non si tratta del simbolo, qui bisogna parlare di quello che quel simbolo ha rappresentato in questi 15 anni.

Letta dice servizio al Paese, ecco gli italiani in tutti questi anni non lo hanno visto così, lo hanno considerato il partito che a dispetto del voto se la gioca con ‘trucchi’ parlamentari pur di rimanere al Governo, senza passare dal consenso popolare. Sta qui la colpa grave, per questo se sarà vera rivoluzione non potrà non cambiare anche l’immagine di questa forza politica, a partire dal simbolo e nome che dovrà avere. Solo così, infatti, si potrà riconnettersi al cuore del popolo che ancora guarda alla possibilità di creare un vero partito che non pensa solo a chi ce la fa ma anche ai tanti che arrancano. Non basta ragionare, come hanno fatto oggi tanti vecchi dirigenti, sul perché e sul per come della sconfitta, serve ritrovare il cuore, perché solo col cuore si potrà far passare il nuovo messaggio.

Dov’è il cuore nella politica del Pd? Tra i tanti ragionamenti, sulla disfatta o sul fatto che il centrodestra non ha vinto con altri voti se non i suoi, nessuno si è soffermato sul piccolo particolare che ormai metà della popolazione italiana non va più a votare. Permettetemi di dire che questa è la prova provata del fallimento del Pd e della sua classe dirigente. Classe dirigente che, se davvero ha a cuore gli interessi dei molti e non dei pochi amici, si dovrà fare da parte. Nessun volto di quelli sempre visti in questi 15 anni dovrà apparire a dettare la linea. Tocca a una nuova leva di dirigenti, che sono tanti e lavorano nei territori e che non sono stati mai valorizzati  e coinvolti, tocca a loro mettersi alla prova per costruire una nuova e vera forza riformista e popolare, credibile e capace di riportare milioni di cittadini ad esprimere di nuovo il loro voto, a credere ancora nel sistema democratico dei tanti e non condannato ad essere rappresentato solo dal ceto politico che vive per “servire le istituzioni”.

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